Diritto Penale | Convivenza e matrimonio: sono davvero assimilabili?

Nel corso degli anni il concetto di famiglia è cambiato: si è passati, infatti, dalla famiglia cosiddetta patriarcale a quella “nucleare”, composta dal nucleo ristretto di genitori e figli; per giungere, con la legge 76/2016, al riconoscimento delle unioni civili e delle convivenze. La legge da ultimo citata (nota come legge Cirinnà) ha infatti ad oggetto la “Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze” e si compone di un unico articolo di 68 commi ove i primi 35 regolamentano le unioni civili e quelli dal 36 al 68 disciplinano le convivenze.

Soffermiamoci su queste ultime.

Le convivenze vengono definite dalla anzidetta legge come la condizione di “due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un’unione civile”.

Quello che è interessante notare è che la legge riconosce al convivente, per quanto riguarda il rapporto i seguenti diritti:

  1. Il diritto di visita in caso di malattia o ricovero di uno dei due conviventi, nonché il diritto di accedere alle informazioni personali, alla stessa stregua del coniuge o di un familiare (co. 39);
  2. Il diritto di designare l’altro convivente quale proprio rappresentante, attraverso un atto da redigersi in forma scritta ed autografa o, in alternativa, alla presenza di un testimone. In tali ipotesi il convivente designato potrà prendere sia decisioni in materia di salute, nel caso in cui l’altro sia affetto da una malattia che comporta incapacità d’intendere e di volere, sia decisioni in materia di donazioni di organi, modalità di trattamento del corpo e celebrazioni funerarie per il caso che l’altro muoia (co. 40); Il diritto di nominare il proprio convivente quale proprio tutore, curatore o amministratore di sostegno, qualora si versi in stato di interdizione, inabilitazione ovvero ricorrano i presupposti di cui all’articolo 404 del Codice civile (co. 48).

A fronte di questi riconoscimenti si segnala, tuttavia, che qualora una donna, terminata la convivenza, si impossessi di alcuni beni sottraendoli dalla abitazione ove aveva abitato fino a poco tempo prima con il suo convivente è colpevole del reato di furto, senza che alla stessa possa essere applicata la causa di esclusione prevista dall’art. 649 cp “Non punibilità e querela della persona offesa, per fatti commessi a danno di congiunti”.

Questa è stata la posizione della Corte di Cassazione che, con la sentenza nr. 37873/19 depositata il 12 settembre 2019, ha rigettato il ricorso dell’avvocato della donna.

In particolare il difensore con il quarto motivo di cassazione della sentenza di condanna pronunciata dalla Corte d’Appello “aveva sollevato la  questione di illegittimità costituzionale dell’art. 649 c.p., in relazione alla mancata estensione della causa di non punibilità ivi prevista, al convivente more uxorio; nella specie si trattava di convivenza stabile (durata per oltre sette anni). Si richiama la normativa introdotta, da ultimo, in tema di regolamentazione delle unioni civili, con L. 20 maggio 2016, n. 76, che ha modificato con la L. 19 gennaio 2017, n. 6, l’art. 649 c.p., comma 1-bis, introducendo la causa di non punibilità nel caso di fatti commessi in danno di persone delle stesso sesso, per unioni civili. Tale nuova disposizione, dunque, secondo la ricorrente rende irragionevole l’esclusione della causa di non punibilità in caso di conviventi more uxorio”.

La Corte su tale ultimo motivo ha, tra le altre cose, affermato che il motivo per cui non si possa estendere analogicamente la causa di non punibilità alla convivenza more uxorio è “la sua natura fluida ed esposta al rischio di un’improvvisa interruzione” a differenza di quanto accade per il rapporto di coniugio che, invece, è caratterizzato da tendenziale certezza e stabilità.

L’avv. Elisa Boreatti, autrice dell’articolo

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