Doping: dal medico allo sportivo, ecco chi viene punito

Gennaro Colangelo, Studio Legale Associato Boreatti Colangelo

Doping, una definizione

Per parlare di doping è necessario innanzi tutto darne una definizione, per comprendere cosa sia da considerarsi tale e cosa invece non lo sia.

Ai sensi dell’art. 1 della legge 376/2000 “Costituiscono doping la somministrazione o l’assunzione di farmaci o di sostanze biologicamente o farmacologicamente attive e l’adozione o la sottoposizione a pratiche mediche non giustificate da condizioni patologiche ed idonee a modificare le condizioni psicofisiche o biologiche dell’organismo al fine di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti”.

Quando il doping costituisce reato?

Le disposizioni di carattere penale sono state previste dal nostro ordinamento innanzitutto all’interno dell’art. 9 della richiamata legge, il quale ha previsto tre distinte ipotesi criminose che si articolano in:

  1. reato di chi procura ad altri, somministra, assume o favorisce comunque l’utilizzo di sostanze biologicamente o farmacologicamente attive, ricomprese nelle classi previste dall’art. 2, comma 1 della legge, che non siano giustificate da condizioni patologiche e siano idonee a modificare le condizioni psicofisiche o biologiche dell’organismo, al fine di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti ovvero siano dirette a modificare i risultati dei controlli sull’uso di tali sostanze;
  2. reato di chi adotta o si sottopone a pratiche mediche, ricomprese nelle classi previste dall’art.2, comma 1, non giustificate da condizioni psicofisiche e al fine di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti;
  3. reato di commercio di farmaci o di sostanze farmacologicamente o biologicamente attive, ricomprese nelle classi previste dall’art. 2, comma 1, in luoghi diversi dalle farmacie e altri parimenti autorizzati.

Con il d.lgs 21/2018 e la previsione della riserva di codice, le disposizioni dell’art. 9 della legge 376/200 sono state fatte confluire all’interno dell’art 586 bis del codice penale il quale, rubricato “Utilizzo o somministrazione di farmaci o di altre sostanze al fine di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti” prevede quanto segue.

Sul piano del fatto tipico delineato nell’art. 586 bis c.p., bisogna porre in essere una differenziazione fondamentale tra:

  • condotte di eterodoping
  • condotte di autodoping
  • commercio di sostanze dopanti

Le condotte di eterodoping o “doping per mano altrui” si presentano a loro volta legislativamente in una quadruplice formula: procacciamento, somministrazione, favoreggiamento dell’uso di sostanze vietate, adozione di pratiche mediche proibite (art. 586 bis, co.1).

Con le ipotesi di autodoping (art. 586 bis, co. 2) si sanziona per contro l’atleta che assume sostanze illecite o che si sottopone a pratiche mediche vietate.

Quanto alla condotta riguardante il commercio di sostanze dopanti (art. 586 bis, co.7) è da ravvisare come l’introduzione della fattispecie all’interno del codice abbia portato ad un depotenziamento della norma penale: con l’art. 586 bis si sostituisce il dolo generico che nella legge 376/2000 caratterizzava la condotta di commercio con il dolo specifico, dato dal «fine di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti».

Al fine di combattere il fenomeno del doping, il legislatore ha deciso dunque di punire chiunque sia coinvolto nell’attività dopante intesa in senso lato. Dal medico al paziente (cioè, lo sportivo), fino a chi, anche non rivestendo una particolare qualità, favorisce l’assunzione di doping viene punito penalmente, oltre ovviamente a chi commercializza sostanze dopanti.

Il bene giuridico tutelato dal legislatore con l’art. 586 bis del codice penale è quello della salute della persona, in quanto l’assunzione di sostanze dopanti provoca una riduzione del benessere psicofisico di chi ne fa uso.

Su questo presupposto è possibile affermare che il reato di doping sia configurabile come reato di pericolo concreto, in quanto al fine della configurazione della fattispecie di reato è necessario che l’individuazione della sostanza dopante all’interno dell’organismo dell’atleta sia idonea a creare un rischio alla sua salute.

Quando fare ricorso a sostanze dopanti non configura reato?

Dal momento che il bene tutelato è quello della salute, non sempre fare ricorso a sostanze dopanti costituisce reato. Non costituisce reato l’assunzione di sostanze considerate dopanti, quando giustificato dalle condizioni di salute dell’atleta. Ad esempio, è noto che anche il normale cortisone abbia un effetto dopante. Tuttavia, ciò non significa che l’atleta non possa in assoluto assumerne se ne abbia una necessità comprovata dal proprio medico.

Come individuare quali sono le sostanze da considerare dopanti?

Per l’individuazione delle sostanze da considerare dopanti è intervenuto il Decreto ministeriale 15 ottobre 2002, di attuazione della Legge 376/2000, con il quale è stata approvata la “lista delle sostanze vietate per doping”. Tale lista veniva di volta in volta aggiornata con vari DM di “modifica” (30 dicembre 2002, 10 luglio 2003, 16 gennaio 2004).

La revisione annuale successiva trae legittimazione pratica dal fatto che la WADA (World Anti-Doping Agency) aggiorna ogni anno, a partire dal 2004 (posteriormente alle prime liste italiane), la lista alla quale quella italiana fa riferimento.

A partire dal DM 13 aprile 2005, quindi, la lista delle sostanze e pratiche mediche, il cui impiego è vietato per doping, viene aggiornata ogni anno, sostituendo i precedenti DM in materia.

Riproduzione riservata

Avv. Gennaro Colangelo                         Dott. Luigi Faggiano

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