Ecco cosa accade davvero in Libia

La Libia è un paese smisurato, ha una superficie di 1.775.500 chilometri quadrati con una popolazione di circa sei milioni di persone e venti milioni di armi da fuoco. Non ha mai firmato la convenzione di Ginevra sui rifugiati del 1951. È uno Stato senza ossatura. Bagnata dal Mediterraneo, inquietante e polverosa è la capitale, Tripoli.
Bab el Azizia, il fortino di Mu’ammar Gheddafi bombardato dalla Nato, nell’anno delle primavere arabe è stato conquistato dai ribelli. Dopo la caduta del dittatore libico e la rivoluzione democratica nel 2011, la Libia è diventata un buco nero dove regna la violenza e il caos. La sfida da vincere è la sicurezza. Più di tutto il paese è una trappola per i migranti, e nei fiumi in secca spesso si trovano i loro cadaveri. Lontano dalle città i trafficanti di essere umani operano impuniti, radunano e smistano come fossero bestiame uomini, donne e bambini per attraversare il deserto, costretti a fare i conti con abusi di ogni tipo e pagare riscatti con la speranza di raggiungere l’Europa per tornare liberi.

I venditori di uomini hanno trasformato i duemila chilometri di coste di fronte all’Europa in un immenso porto d’uscita.

Negli ultimi anni duecentomila persone hanno dovuto abbandonare le loro case per i continui combattimenti, gli attentati dei terroristi islamici, le lotte delle milizie per contendersi interi quartieri. Ogni forma di istituzione è corrotta.
In Italia dal Mediterraneo centrale sono arrivate oltre seicentomila persone e durante la traversata quindicimila sono morte.
Per bloccare il fenomeno epocale della migrazione, Bruxelles ha esternalizzato il controllo delle frontiere. Sotto la guida dell’Italia sono stati formati, addestrati ed equipaggiati agenti della guardia costiera libica. L’Europa ha cercato di ostacolare e ridurre la presenza in mare delle navi delle Ong. L’Onu accusa l’Europa di costringere delle persone, quando intercettate nelle loro acque, a tornare in un “porto non sicuro”. Riportare in Libia le persone equivale a violare l’articolo 33 della Convenzione di Ginevra e gli articoli 3,4 e 13 della Convenzione Europea dei diritti umani che sanciscono il principio di “non-refoulement” (non respingimento).
Dal 2012, l’anno in cui i libici hanno votato per la prima volta in cinquant’anni, la Libia si è spaccata in due a causa delle lotte di potere. Prima che Haftar lanciasse l’offensiva, il governo di accordo nazionale guidato da Fayez al Sarraj ha cercato di integrare le milizie nello Stato sotto il controllo del Ministero dell’interno e di quello della Difesa. Il presidente Fayez al Sarraj ha incontrato più volte Haftar per raggiungere un accordo ma i punti di conflitto sono molti come la costruzione di uno Stato civile che abbia l’esercito ai suoi ordini e non viceversa. Le milizie e i libici non vogliono un regime militare che li governi.

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