L’apocalisse del Global Warming

Alluvioni, tempeste, grandinate, siccità: non è maltempo, è il cambiamento climatico del nostro Pianeta. Il “Global warming” (riscaldamento o surriscaldamento globale) fa mutare il clima terrestre per le emissioni nell’atmosfera terrestre di crescenti quantità di gas serra. È un fenomeno di incremento delle temperature medie della superficie della Terra non riconducibile a cause naturali, attribuibile all’aumento della concentrazione atmosferica dell’anidride carbonica e non solo, imputabile all’attività umana, ed in particolare alla produzione di energia per mezzo della combustione di carbone, petrolio e gas, l’abbattimento delle foreste, lo sviluppo dell’allevamento di bestiame (i bovini e gli ovini producono grandi quantità di metano durante il processo di digestione), i fertilizzanti azotati e i gas fluorurati sono le principali cause dell’aumento delle emissioni. L’anidride carbonica, il metano, l’ossido di azoto, i gas fluorurati sono gas naturalmente presenti nell’atmosfera, agiscono come il vetro di una serra, catturano il calore del sole impedendogli di ritornare nello spazio. Tranne l’anidride carbonica gli altri gas serra, emessi in quantità minori, catturano il calore molto di più della stessa anidride carbonica.
L’aumento della temperatura sta causando importanti perdite di ghiaccio ad entrambi i poli, con conseguente aumento del livello del mare e intense precipitazioni. Il riscaldamento, maggiore nella zona artica, comporta una riduzione dei ghiacciai, del permafrost e dei mari ghiacciati con possibili modifiche alla rete biologica e all’agricoltura.
L’attuale temperatura media mondiale è più alta di 0,85°C rispetto ai livelli della fine del diciannovesimo secolo. Gli ultimi tre decenni, da quando sono iniziate le rilevazioni nel 1850, sono stati i più caldi. Il Protocollo di Kyoto, l’accordo internazionale per contrastare il riscaldamento climatico entrato in vigore il 16 febbraio 2005, impegnava i Paesi sottoscrittori (le Parti) ad una riduzione quantitativa delle “proprie emissioni” di gas a effetto serra (i gas climalteranti, che riscaldano il clima terrestre) rispetto ai propri livelli di emissione del 1990(baseline) in percentuale diversa da Stato a Stato. Per fare questo le Parti erano tenute a realizzare un “sistema nazionale di monitoraggio delle emissioni ed assorbimento di gas ad effetto serra” da aggiornare annualmente, insieme alla definizione delle misure per la riduzione delle emissioni stesse. Considerando gli specifici obiettivi del Protocollo di Kyoto, la media di riduzione delle emissioni nel periodo 2008-2012 rispetto all’anno base (1990) è stata per l’Italia solo del -4,6% a fronte di un impegno nazionale del -6,5%. L’Italia quindi non ce l’fatta, perché la trasformazione dell’energia gioca ancor un ruolo principale nell’ambito della generazione delle esternalità ambientali negative a livello climatico. Con “Kyoto 2”, il secondo periodo di impegno del Protocollo di Kyoto (2013-2020), per la comunità internazionale le emissioni devono necessariamente scendere entro i +2°C di riscaldamento del clima del pianeta, per avere cambiamenti climatici contenuti e avviare azioni importanti per l salvaguardia del clima globale. Un aumento di 2°C rispetto alla temperatura dell’era preindustriale è considerato dagli scienziati come la soglia oltre la quale vi è un rischio maggiore che si verifichino mutamenti ambientali pericolosi e potenzialmente catastrofici a livello mondiale. Per la comunità internazionale è necessario mantenere il riscaldamento sotto i 20°C. Per limitare “a monte” le proprie emissioni, limitando i propri consumi e compensare le “emissioni invitabili” legate alla propria necessità di energia, beni e servizi, in un sistema consumistico la prima operazione sarebbe quella di capire quali sono le nostre necessità vere ed oggettivamente indispensabili.

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