Noi avvocati siamo davvero brutte persone? Colpa dell’ambiente ostile

“Noi avvocati siamo proprio brutte persone”.

Questa è una frase che mi sono sorpresa a dire qualche tempo fa. Ma è una frase che, pur essendo stata pronunciata da me, non condivido.

In un’altra occasione, commentando il mio ultimo malumore professionale (non ricordo se subito dopo una telefonata con un collega o con un cliente) mi sono invece ritrovata a esternare questa riflessione: “Il problema è che in ambito legale e giudiziario le persone, a volte, danno il peggio di sé”.

Questa sì, mi sembra avere almeno un fondo di verità.

In proposito, prima di guardare direttamente a noi avvocati, vorrei portare l’attenzione su coloro che ci stanno intorno: clienti e giudici.

I clienti li incontriamo in una bolla, quella della lite o del guaio giudiziario in cui si trovano. Magari a noi mostrano rispetto, ma a volte abbiamo a che fare con il loro rancore verso controparte o verso la situazione, con la loro voglia di averla vinta o farla franca, con la loro paura mista a rabbia, con le loro scorrettezze e debolezze. Per non dire che le vicende che finiscono in tribunale, o che rischiano di finirci, sono spesso lo specchio della peggiore umanità. Non è strano, quindi, se non ci sentiamo sempre così ispirati nel servire il nostro cliente. Almeno non quanto lo saremmo se avessimo a che fare con la sua versione migliore.

Quanto ai giudici, sembrerebbe che molti dei nostri dispiaceri vengano da loro, oltre che dal sistema giustizia in generale. Al di là di decisioni che ci lasciano amareggiati, a volte a rovinarci la giornata basta il modo in cui alcuni di loro si rapportano a noi. Molti dei loro atteggiamenti trovano origine proprio nel contesto giudiziario, e anche in questo caso a noi avvocati tocca spesso di non aver a che fare con la versione più amabile della persona-giudice.

Neanche noi siamo immuni rispetto all’influenza potenzialmente negativa del terreno in cui operiamo: il terreno del conflitto e del rischio (di perdere la reputazione, la causa, il patrimonio, la libertà…).

Conosco tanti avvocati che riescono, nonostante tutto, a portare integrità, signorilità e buonumore nella professione.

Ma so anche che, a volte, subiamo le scorrettezze dei colleghi, o semplicemente i loro atteggiamenti non amichevoli, figli di una visione bianco-o-nero, in cui se tu vinci io perdo. O magari siamo proprio noi quelli che non provano a mediare, ad essere portatori di buon senso. A volte diamo il peggio di noi perché preferiamo fare la faccia dura prima che la facciano gli altri, convinti che si tratti dell’unica alternativa al mostrarci deboli.

Eppure non deve essere per forza così.

Un primo passo può essere prendere consapevolezza di certi meccanismi e delle loro conseguenze su di noi e sugli altri. Quando abbiamo meglio compreso cosa può accadere nell’arena, possiamo scegliere che persone essere quando siamo avvocati.

Come vogliamo, ad esempio, rapportarci agli altri? Con diffidenza, furbizia, rigidità, aggressività? O con fiducia, rispetto, apertura, empatia? Se siamo noi i primi a sforzarci di mettere in atto la nostra (migliore) umanità, sarà più facile che la tirino fuori anche coloro con cui interagiamo. E se iniziamo ad aspettarci dagli altri rispetto e correttezza, probabilmente otterremo proprio quello che auspichiamo.

Perché? Perché dimostrare empatia può innescarla negli altri; perché le persone tendono a rispondere agli altri con comportamenti simili a quelli ricevuti; perché l’autenticità e l’integrità nelle relazioni favoriscono una comunicazione chiara e interazioni efficaci; perché le nostre aspettative rispetto agli altri possono rivelarsi profezie che si autoavverano, nel bene e nel male.

Insomma, non penso affatto che siamo condannati a vivere in un ambiente ostile, penso piuttosto che possiamo influenzare il nostro ambiente. E se non dovessimo così riuscire far venir fuori il meglio degli altri, ci sarà una persona amabile in più nella stanza: noi. Almeno a noi stessi faremo, così, un grande regalo.

Avv. Valentina Pizzo

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