CEDU: il matrimonio non implica il diritto a rapporti sessuali

Il consenso al matrimonio non implica automaticamente il consenso a future relazioni sessuali. È questa la posizione assunta dalla Corte Europea dei Diritti Umani (CEDU) nella sentenza del 23 gennaio 2025 nel caso H.W. v. France (application n. 13805/21). La Corte ha condannato la Francia per aver violato il diritto al rispetto della vita privata di una donna, alla quale era stata attribuita la colpa del divorzio per aver rifiutato rapporti sessuali con il marito.

Il caso: dal matrimonio al divorzio contestato

La ricorrente, sposatasi nel 1984 e madre di quattro figli, aveva chiesto il divorzio nel 2012 denunciando il comportamento violento e offensivo del marito, oltre alla sua scarsa presenza a causa degli impegni lavorativi. L’uomo, dal canto suo, sosteneva che la colpa fosse della moglie, la quale non aveva adempiuto ai cosiddetti “doveri coniugali”, rifiutandosi di avere rapporti sessuali.

In un primo momento, la giustizia francese aveva pronunciato il divorzio senza colpa per nessuna delle parti, basandosi sulla rottura irreversibile del matrimonio. Tuttavia, in seguito all’impugnazione del marito, la sentenza veniva ribaltata e la colpa attribuita esclusivamente alla donna, con la motivazione che i problemi di salute da lei addotti non giustificavano il rifiuto reiterato di rapporti sessuali.

La decisione della CEDU

La donna ha quindi fatto ricorso alla Corte Europea dei Diritti Umani, non per contestare il divorzio – che lei stessa aveva chiesto – ma per opporsi alla motivazione che lo aveva giustificato. Strasburgo ha accolto il suo ricorso, ritenendo che lo Stato francese avesse violato l’articolo 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, che tutela il diritto alla vita privata e familiare.

Secondo i giudici della CEDU, il principio secondo cui il matrimonio non comporta l’obbligo di prestazioni sessuali è fondamentale per garantire la libertà e la dignità delle persone. La sentenza sottolinea inoltre l’obbligo degli Stati di prevenire la violenza domestica e sessuale, riconoscendo che l’assenza di consenso in una relazione coniugale può configurare il reato di stupro.

I doveri coniugali e la violenza sessuale in Italia

In Italia, l’articolo 143 del Codice Civile stabilisce i doveri reciproci tra coniugi, tra cui fedeltà, assistenza morale e materiale, collaborazione e coabitazione. Tuttavia, non vi è alcuna menzione esplicita di un obbligo sessuale. Per lungo tempo si è ritenuto che il “dovere coniugale” comprendesse anche la sfera sessuale, ma la giurisprudenza ha progressivamente chiarito che il consenso ai rapporti deve essere sempre libero e revocabile.

Una svolta decisiva è arrivata con la legge 66/1996, che ha introdotto nel Codice Penale l’articolo 609 bis, definendo la violenza sessuale come un reato contro la persona. La Corte di Cassazione ha più volte ribadito che anche tra coniugi non esiste alcun diritto all’amplesso, né la possibilità di invocare obblighi matrimoniali per giustificare un atto sessuale imposto.

Nel 2004, la Suprema Corte (sentenza n. 14789/2004) affermava che “non esiste una quantità di violenza sessuale tollerabile tra coniugi, così come tra estranei”. Un concetto ulteriormente rafforzato con la sentenza n. 38909/2024, secondo cui l’induzione a rapporti sessuali mediante coercizione psicologica può configurare il reato di violenza sessuale anche all’interno del matrimonio.

Una sentenza che rafforza la tutela internazionale

La decisione della CEDU rappresenta un ulteriore passo avanti nella tutela dei diritti delle donne e nella lotta contro la violenza domestica. Conferma che il matrimonio non può giustificare l’imposizione di rapporti sessuali non consensuali e richiama gli Stati al dovere di proteggere l’autodeterminazione delle persone anche nella sfera coniugale.

Si tratta di un principio che non solo ridefinisce i confini del concetto di “dovere coniugale”, ma ribadisce che la libertà sessuale è un diritto inviolabile, indipendentemente dal legame matrimoniale.

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