Nei riscontri con i nostri lettori sappiamo che di certo vi è un argomento al primo posto tra i più divisivi: l’uso del genere femminile per indicare una professionista. Pare una cosa di nulla e invece quella che dovrebbe essere la naturalità della lingua parlata risulta invece tra le più difficili, con quel maschile che include tutto essendo grammaticalmente più forte. E non sono solo gli uomini a esprimere, in maniera più o meno garbata, le proprie perplessità di fronte a un “avvocata” o “direttrice” ma anzi, sono proprio alcune professioniste che considerano la declinazione al femminile quasi come un vero e proprio insulto; e c’è da capirle: magari hanno passato tutta una vita a cucirsi addosso un titolo che è anche un certificato di parità con i colleghi maschi (ma non scontato) e ora devono cambiarlo per adeguarsi ai tempi.
Eppure “avvocata” (o qualsiasi altro titolo) ha una sfumatura diversa rispetto ad “avvocato”, racchiude tutto un mondo purtroppo non ancora progettato per la sua identità e le sue esigenze, ecco perchè è importante parlarne. Le donne professioniste, come tutte le donne, devono far fronte alla quota maggiore di lavoro di cura non retribuito, ovvero quello di chi si prende cura della famiglia, se non anche della casa. D’altronde anche mettere al mondo dei figli non è certo un evento senza distinzione di genere, come diceva qualcuna. “Avvocata” non è “avvocato” come “donna” non è “uomo”, nonostante anche la scienza medica finora si sia basata su studi che hanno come parametro il corpo maschile.
La lingua è uno strumento potente per riflettere e influenzare la cultura e la società. Quando si parla di professioni, è importante riconoscere il contributo significativo delle donne in tutti i settori e farlo attraverso un linguaggio inclusivo. Questo significa utilizzare il genere femminile per riferirsi alle professioni, come “ingegnera”, “architetta”, “avvocata”, e così via. Questa pratica non solo riconosce l’esistenza ma anche il valore delle donne in queste professioni, incoraggiando altre donne a considerare se stesse come identità e non come succursale del genere maschile.
Facciamo una prova: se vi è da scegliere una fonte di ispirazione, sia le donne che gli uomini possono scegliere facilmente un uomo ma quanti uomini sceglieranno una donna?
L’uso del genere femminile nelle professioni non è solo una questione di giustizia e rispetto, ma anche una questione di visibilità e ruoli modellanti. Quando le donne vedono figure femminili nei ruoli professionali rappresentati con il genere appropriato, si sentono più incoraggiate a perseguire tali carriere. Ciò è particolarmente importante in settori tradizionalmente dominati dagli uomini, come la scienza, la tecnologia, l’ingegneria e la matematica (le famose STEM).
L’emancipazione delle donne non riguarda solo l’accesso alle opportunità, ma anche la creazione di un ambiente in cui le donne si sentano ben accolte e rispettate. L’uso del genere femminile nelle professioni contribuisce a questo obiettivo, poiché enfatizza il ruolo delle donne in posizioni di leadership e autorità. In un mondo in cui i pregiudizi di genere e gli stereotipi persistono, è essenziale sfidare questi schemi linguistici per promuovere un cambiamento sociale più ampio.
Alcuni potrebbero obiettare che l’uso del genere femminile nelle professioni è solo una questione di politica linguistica o politicamente corretta ma non è così. Il linguaggio riflette e influenza il pensiero e la cultura. Quando le parole cambiano, le percezioni e le aspettative seguono il cambiamento e quello a cui stiamo assistendo è uno dei cambiamenti epocali più grandi della struttura sociale umana: non vedere più solo nel maschio l’essere umano predefinito.
Rosa Colucci