Il fatto. Due comproprietari di un fabbricato chiamavano in giudizio i proprietari di un terreno confinante per sentirli condannare all’abbattimento del timpano eseguito in sopraelevazione del fabbricato confinante, all’arretramento dello sporto di gronda e al ripristino dello stato precedente del terreno, nonché al risarcimento del danno, poiché tali opere erano state realizzate senza il rispetto delle norme in tema di distanza dai confini e tra fabbricati. I convenuti sostenevano che le opere erano state realizzate in conformità ai titoli rilasciati dal Comune. Dopo i primi due gradi di giudizio che vedevano rigettare in parte la domanda attorea, si giunge in Cassazione.
Intervenuta la Suprema Corte sul caso ribadisce che la sopraelevazione, anche se di dimensioni ridotte, comporta sempre un aumento del volume e della superficie di ingombro e dunque va considerata come nuova costruzione.
Per quanto riguarda, poi, il rispetto delle distanze tra confini, il Collegio ricorda che, in tema di distanze per impianti del fondo contiguo, l’art. 889, comma 2, c.c., secondo cui per i tubi d’acqua e loro diramazioni deve osservarsi la distanza dal confine di almeno 1 metro, si fonda su una presunzione assoluta di dannosità per infiltrazioni o trasudamenti che non ammette prova contraria. Da ciò deriva che anche i canali di gronda e i pluviali discendenti dal tetto dello stabile, come nel caso in esame, devono essere equiparati alle colonne di scarico.
Per tali ragioni il ricorso deve essere accolto.