I format, ovvero il lento cammino tra limiti e schemi verso la marginalizzazione degli avvocati

Michelina Grillo

L’art. 46 disp. att. codice procedura civile, così come modificato dal D.Lgs. 10.10.2022 n. 149 c.d. riforma Cartabia, prevede testualmente: “Il Ministro della Giustizia, sentiti il Consiglio superiore della magistratura e il Consiglio nazionale forense, definisce con decreto gli schemi informatici degli atti giudiziari con la strutturazione dei campi necessari per l’inserimento delle informazioni nei registri del processo. Con il medesimo decreto sono stabiliti i limiti degli atti processuali, tenendo conto della tipologia, del valore, della complessità della controversia, del numero delle parti e della natura degli interessi coinvolti. Nella determinazione dei limiti non si tiene conto dell’intestazione e delle altre indicazioni formali dell’atto, fra le quali si intendono compresi un indice e una breve sintesi del contenuto dell’atto stesso. Il decreto è aggiornato con cadenza almeno biennale”.

Nota è la querelle in tema di limiti dimensionali degli atti, con le vibrate – e postume – proteste dell’avvocatura, le promesse di scioperi e agitazioni a oltranza da parte del vertice istituzionale, la rivendicazione di importanti e risolutivi cambiamenti in positivo ottenuti per noi poveri “redattori”, tali da abbandonare con soddisfazione ogni idea di protesta, e da ultimo l’applicazione anticipata delle nuove norme -anche a procedimenti “vecchi”, con penalizzazioni per i colleghi e sacrificio dei diritti delle parti che, ovviamente, se la prenderanno sempre e solo con i loro difensori, con inevitabili ripercussioni anche di carattere economico.
Meno nota e dibattuta è invece la tematica afferente gli “schemi”, che in combinato disposto con i limiti dimensionali, ha già fatto comprendere ad alcuni che lo sviluppo di tutto ciò in un futuro neppure troppo lontano sarà l’affinamento dei criteri e la elaborazione di modelli di atti, utili alla lettura da parte di sistemi automatizzati, (atti “machine readable”), e alla successiva elaborazione da parte di software di intelligenza artificiale, che potranno portare anche alla adozione delle relative decisioni, sostanzialmente basate sui precedenti che la macchina avrà introitato.
Tralasciamo per un momento l’aspetto – non modesto – dell’impatto dell’utilizzo della IA sulla tutela dei diritti e della sempre più evidente transizione da un modello di resa di giustizia basato sulla disamina del caso concreto e un modello – di tipo anglosassone – di decisione sulla base dei precedenti, tipico dei sistemi di common law. Lo “stare decisis”, infatti, pur amato da parte della magistratura, è sempre stato estraneo alla nostra cultura giuridica, anche se i precedenti vengono citati. Altra cosa è citarli rimanendo comunque nell’alveo del libero convincimento del Giudice, che può ritenerli non applicabili e discostarsene, altra è il “rimanere su quanto deciso”, principio in forza del quale il giudice è obbligato a conformarsi alla decisione adottata in una precedente sentenza, nel caso in cui la fattispecie portata al suo esame sia identica a quella già trattata nel caso in essa deciso. E’ noto che in questo modo, tutti i precedenti, tratti dalle precedenti pronunce giurisprudenziali, assurgono al valore di vere e proprie fonti del diritto.
Soffermiamoci brevemente sugli “schemi” degli atti, dei quali molto poco si parla e che forse ci piomberanno addosso all’improvviso, proprio come è stato per i limiti dimensionali.
L’art. 8 del Decreto 7.8.2023 n. 110 titolato “Schemi Informatici”, ci dice che gli atti giudiziari, già redatti secondo le modalità e regole dettate per il processo telematico, e quindi idonei alla produzione di “metadati” (su cui pure occorrerebbe una riflessione) che poi ne consentono la conservazione e archiviazione, così come la catalogazione etc.etc., devono essere corredati dalla compilazione di schemi informatici, sempre conformi alle specifiche tecniche dettate dal ministero.
Nel silenzio generale, vi è chi mormora che si stia predisponendo gradualmente il terreno per l’introduzione di veri e propri “format” di atti, che in una prima fase si accompagneranno all’atto tradizionale, contenuto rigidamente nei limiti già dettati e modificabili ogni due anni, per poi giungere a sostituirsi ad essi.
Su questi schemi nulla si dice e nulla è uscito, ma dobbiamo pur sempre tenere presente, come precedente, se non altro temporale, ciò che è accaduto e ciò che sta accadendo nel processo tributario, ove si sta testando con chiarezza il sistema Prodigit, e dove già si sta affrontando il tema della elaborazione di schemi di ricorso, con la individuazione dei campi necessari per l’inserimento delle informazioni in modo tale da consentirne la agevole trasmigrazione nei registri del processo, e la elaborazione.
Di ciò si è parlato recentemente in un interessante convegno organizzato qualche giorno fa dalla CGIL, sulle idee innovative per gestire meglio la macchina giudiziaria, che non riguardano solamente la migliore valorizzazione delle risorse umane, nel quale, come spesso accade, non si è registrata partecipazione di rappresentanze dell’avvocatura. Si faceva riferimento espresso alla predisposizione ed elaborazione di tali schemi di atti per il processo civile ed alla loro possibile futura collocazione su di una piattaforma, accessibile, dalla quale tali schemi potranno venire scaricati e successivamente completati con l’inserimento dei dati nei campi lasciati liberi allo scopo, e infine inoltrati all’ente o organo cui sono destinati.
Citiamo ad esempio ciò che già accade per i ricorsi all’INAIL (Presidenza o sedi territoriali), ovvero per il decreto ingiuntivo europeo, ove per l’appunto la richiesta viene inoltrata mediante compilazione di moduli standard (https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=uriserv:OJ.L_.2017.182.01.0020.01.ITA), oppure per i ricorsi alla Corte di Giustizia Europea, che vengono predisposti utilizzando l’apposito formulario scaricabile sul sito della Corte, etc.etc..
Ricordiamo, incidentalmente, che per il decreto ingiuntivo europeo, non è necessario l’accesso a un Giudice, ben potendo essere il procedimento tutto automatizzato, e la domanda ben può essere presentata direttamente dal creditore senza assistenza di difensore.
Ci domandiamo se il CNF, che le norme dicono debba venire consultato, abbia ricevuto inviti per esaminare e vagliare questi aspetti. Ci domandiamo se – come avvenne per i limiti dimensionali – eventualmente abbia partecipato a gruppi di lavoro finalizzati alla elaborazione degli schemi e/o abbia sottoscritto accordi sul tema, magari senza nulla dire, come di consueto, se non a giochi fatti. Ci chiediamo se nell’avvocatura c’è qualcuno che si stia occupando di questi temi o no.
Ci domandiamo, infine, se non sarebbe bene che l’avvocatura ne discutesse, invece di baloccarsi su questioni trite e ritrite e mai risolte, forse anche inutili in prospettiva futura.
Non sfugge, infatti, la portata dirompente che avrebbe l’introduzione di format, sia per gli effetti sulla libera e piena esplicazione del diritto di difesa (che comprende come è noto anche il diritto di agire in giudizio), sia sul lavoro di noi avvocati, che in un futuro neanche troppo lontano potremmo venire relegati al ruolo di compilatori di format, o addirittura in taluni casi e controversie di meri spettatori, non essendo necessario il nostro ministero.
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