Noi e loro, la presunzione di supremazia della funzione giudiziaria

A Potenza, un avvocato produce un certificato medico che attesta la sua malattia e chiede il rinvio del processo fissato per quel giorno. Un diritto di ogni lavoratore, nella fattispecie tutelato dalla previsione dell’art. 420 ter comma 5° CPP che comunque (sia detto a beneficio di travaglisti e davighisti) sospende il corso della prescrizione.

Invece no: il PM chiede che il Tribunale accerti se davvero il difensore è malato (richiesta che il Tribunale rigetta) e poi quello stesso avvocato si ritrova i Carabinieri a casa, mandati da quello stesso PM a controllare se davvero fosse degente, e apprende di essere indagato dalla Procura della Repubblica insieme al proprio medico curante che ha emesso il certificato di malattia.

A Roma, la Ministra Cartabia porta avanti, con cospicue modifiche, un DdL (Atto Camera C 2681) di riforma dell’Ordinamento Giudiziario già presentato dal Governo Conte che, tra le altre cose, prevede una riforma dei Consigli Giudiziari con l’introduzione del diritto di voto dei rappresentanti dell’avvocatura sulle valutazioni di professionalità dei magistrati.

Tutta la magistratura, Associazione Nazionale Magistrati in testa, si è apertamente schierata contro questa ipotesi paventando che i voti possano essere espressi per fini eterogenei rispetto a quelli istituzionali (c’è chi ha perfino adombrato possibili vendette da parte degli avvocati per gli esiti non favorevoli delle decisioni) e stigmatizzando le presunte “pagelle” poste a base del sistema di valutazione in via di introduzione.

Due precisazioni paiono doverose: uno, la componente forense nei Consigli Giudiziari che già partecipa e ha diritto di voto in alcune materie (variazioni tabellari, applicazioni interdistrettuali, programmi di gestione e tabelle organizzative) è fortemente minoritaria – come è ovvio – rispetto a quella togata (art. 9 DLgs n° 25/2006), quindi il suo voto non sarebbe in condizioni, da solo, di condizionare la decisione del Consiglio Giudiziario; due, la magistratura interviene nelle valutazioni di professionalità degli avvocati, sia partecipando ai procedimenti disciplinari (artt. 21, 24 e 33 del Regolamento CNF n° 2/2014), sia nella quantificazione dei compensi loro liquidati in giudizio e ai sensi del TU Spese di Giustizia (difesa d’ufficio e PNA).

Storie diverse e scollegate tra loro soltanto in apparenza, perché i comuni denominatori sono l’autoreferenzialità, la presunzione di supremazia della funzione giudiziaria e la radicata diffidenza verso la funzione forense.

Chi, all’interno della magistratura, si fa portatore di questi atteggiamenti commette un grave errore perché la manifestazione di una conflittualità che travalichi il doveroso rispetto delle reciproche funzioni fa perdere credibilità alla giurisdizione nel suo complesso, della quale – piaccia o non piaccia – l’avvocatura è parte essenziale e imprescindibile. Come sbaglia quella componente dell’avvocatura sempre pregiudizialmente schierata su posizioni di contrasto nei confronti della magistratura. Entrambe le fazioni ultras dovrebbero comprendere che tanto più si limitano la libertà e l’autonomia dell’altra funzione, tanto più si delegittima il sistema e la affidabilità della risposta.

La logica divisiva del “noi e loro” è perversa e chi la pratica non persegue in alcun modo la qualità della giurisdizione.

 

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