Requisiti permanenza albo | Non è il momento di mandare via gli avvocati

Rosa Colucci, direttore di Avvocati

Troppi avvocati o forse no, ma intanto si tutelino quelli che già ci sono.

Si dice che a Napoli ci siano 3 mila tassisti a fronte di quasi 20 mila avvocati, quindi se ci si trova nella capitale partenopea per strada si hanno sette probabilità in più di incrociare un avvocato cui chiedere un passaggio rispetto a un tassista. Questa è una storiella graziosa che conserva nei numeri più o meno una certa verità ma se proprio vogliamo fare a meno dello storytelling e scivolare verso la brutalità del dato certo, allora ecco: fino a qualche anno fa il numero degli avvocati di Lazio e Campania superavano quello dei legali dell’intera Francia e in Europa siamo – ci mancherebbe – il Paese con il numero più alto, anche in rapporto agli abitanti.

Già in tempi pre Covid il numero sempre più ipertrofico dei professionisti iscritti agli Ordini era oggetto di una svogliata attenzione: in fondo più si è e maggiori sono le entrate, così come maggiore è il prestigio di rappresentanza. Eppure forse ci voleva la pandemia per porre tutti di fronte a un dato quanto mai semplice: se l’offerta supera la domanda (e la supera, altrimenti non ci sarebbero fatturati in lacrime), sia i professionisti che i cittadini necessiteranno – per motivi diversi – di tutele per evitare distorsioni inevitabili.

In questi giorni alcuni Ordini stanno procedendo alla revisione degli Albi per escludere quei professionisti che non abbiano assolto agli obblighi relativi alla cosidetta “continuità professionale” nel triennio 2017/2019: il che è giusto, giustissimo, almeno in tempo di pace. Ma come è possibile che talune regole di autoregolamentazione della professione vengano applicate in un periodo in cui la vita di tutti – compresi i ritmi già tragici della giurisdizione – è stata sconvolta?

Certo, se anche il Consiglio Nazionale Forense si è giustamente mosso a pietà esprimendo parere negativo sui controlli (perché in effetti manca un decreto sui controlli a campione), evidentemente lo stato di emergenza è più che conclamato. Ecco perché più che inopportuna (ognuno ha i propri buoni motivi) la consueta verifica a carattere triennale da parte dei Consigli dell’Ordine appare fuori dal tempo, anacronistica, una ulteriore spada appesa sulla testa di chi non ce la sta facendo, anzi non ce l’ha fatta.

Perché invece non sforzarsi di creare quella rete sociale e professionale che dà senso e significato alla corporazione pensando, anziché escluderli dall’Albo, ad aiutare gli avvocati che non riescono o non possono soddisfare i requisiti giustamente richiesti, indirizzandoli verso nuove specializzazioni, verso nuove buone pratiche e perché no – anzi sì – verso nuove professioni? Ritorniamo al punto di partenza: i tassisti e gli avvocati. Entrambi necessari al funzionamento della società, come lo sono tutte le persone che lavorano, entrambi in crisi in un mondo che cambia in fretta. Questi ultimi però costituiscono un patrimonio umano e professionale notevole, frutto di anni di studio: disperderlo senza nemmeno tentare di recuperarlo sarebbe un vero peccato.

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